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È molto probabile che praticamente nessun partito oggi in parlamento sopravviverà alle elezioni (o ce la farà con un decimo dei parlamentari).
Se e quando le elezioni ci saranno: voglio ricordare che oggi siamo governati –senza mandato del popolo– da degli pseudo-tecnici, bravi o meno che siano, ma che non prenderebbero i voti del loro condominio …e non è detto che questo sia per forza un bene.
Per la somma di queste due ragioni (gli attuali partiti non sopravviveranno, il governo non deve rispondere a un elettorato) risulta ovvio perché non si vota; e che quindi le elezioni, seppur inevitabili, si terranno il più tardi possibile (vero Napolitano?).
Il centrodestra è paurosamente allo sbando e nessuno scommetterebbe un copeco sulla capacità del PDL di recuperare consensi. Al massimo può riuscirci la Lega che sta rispolverando la versione anarco-secessionista che rende sempre.
Nel centrosinistra invece le cose sono più complicate: le alternative al collasso dell’attuale Parlamento si chiamano M5S e IDV, cioè un comico e un giudice passati alla politica, che è l’ennesima anomalia tutta italiana: trovatemi un altro Stato europeo in cui sia mai successa una cosa simile, visto che per ogni porcata da farci digerire in Italia ormai si dice che lo fanno in Europa…
Oppure la proposta di Matteo Renzi che ha buone chances di vincere le elezioni ma molte meno di vincere le primarie, il che è un’altra italica anomalia, visto che le primarie (almeno quelle americane a cui “iCare” Veltroni si era ispirato) in teoria si farebbero per individuare la persona più forte per vincere le elezioni, e non per dare un’investitura finto-popolare al solito candidato della segreteria.
Renzi infatti viene percepito come un politico giovane e innovatore (ma non è detto che lo sia) in grado di sparigliare il tavolo surgelato da 60 anni di destra/sinistra o se si preferisce di anticomunisti/comunisti, acchiappando voti un po’ ovunque, certamente oggi più su una generica promessa di rinnovamento che non su programmi concreti.
Anche perché di programmi i nostri politiconi ne hanno sempre sfornati tanti (ve lo ricordate quello breve di Prodi…180 pagine!), anche uno al giorno… per riporli poi subito in frigo, forse perché non si sciupassero
Ed è proprio di questa distanza siderale tra voli elettorali e reali obbiettivi, che gli elettori (non solo di sinistra) ne hanno le palle piene: della cronica differenza italica tra teoria e pratica, tra predica e razzola, tra ideale e interesse, di chi promette come minimo di salvare il mondo e poi si salva sempre e solo la propria cadrega.
Renzi però non piace a una certa sinistra che ha la sindrome delle Termopili (ci facciamo massacrare eroicamente ma il nemico –specie quello interno– non passerà) e una vocazione ormai secolare al settarismo e al partito preso (Renzi è andato a cena ad Arcore: scandalo scandalo!!!) e che quindi preferisce senza esitazioni perdere le elezioni con Bersani piuttosto di vincerle con Renzi, cosa questa che nemmeno Tafazzi…
E del resto Renzi non piace nemmeno alle oligarchie al caviale di banche, salotti e intellettuali che temono un ricambio generazionale più di uno tsunami. E sono disposti ad andare a letto con Montezemolo, Marchionne e Passera piuttosto di andare a cena con Renzi (Ecco ricordiamoci che in Italia e “a piede libero” esiste anche uno come Corrado Passera…ed è pure al governo!).
Probabilmente proprio per queste stesse ragioni, Renzi non dispiace anche a un elettorato di centrodestra che di Berluscate tra party, veline, mafiosi, faccendieri e leccaculo non ne può più, ma non voterà mai i nipotini di Togliatti anche se travestiti da liberali, da “americanisti” e da “mercatisti”.
E quindi se ci si potesse sedere sulla Luna e guardare il Bel Paese da lassù, è evidente che Matteo Renzi, anche solo per fattori contingenti, rischia di stravincere le elezioni (anche perché non si vedono De Gasperi, Adenauer o Kennedy all’orizzonte), prendendo il grosso dei voti dei due ex-schieramenti, ridando fiducia a una parte per fortuna ancora maggioritaria degli italiani (che, pur se nauseata dagli attuali politici, non ha ancora eletto l’antipolitica a valore fondante) e lasciando la protesta a chi se la merita.
È vero: vincerebbe più sull’onda di uno slancio emotivo, di una speranza, di un sentimento che di un’idea concreta.
Esattamente come ha fatto Obama al primo giro (e forse anche al secondo): un’elezione altrettanto emotiva –quella americana– che però ha mandato in estasi tutti quelli che “Renzi proprio no”…
Una cosa poi che Renzi ha capito benissimo è che i politici del suo partito, quelli attorno ai 60 anni (e quindi praticamente tutti!) sono impresentabili, oltre che per raggiunti limiti di età, anche per la loro storia politica: oggi vota ormai la generazione post Muro di Berlino e nel PD ci sono ancora come candidati i funzionari del vecchio PCI, gente che ha passato una vita nelle sezioni locali, nella FIGC (non quella del calcio), che ha giustificato l’ingiustificabile, avendo cura di scriverlo quando la prudenza –se non la decenza– avrebbero almeno consigliato di non lasciare tracce.
Vale la pena citare l’intervento smarrito e disperato di Giancarlo Pajetta al PCUS sovietico nel marzo del 1989: “Io ho dedicato tutta la mia esistenza a sfogliare le pagine bianche della vostra storia, come un cieco che le riteneva immacolate, però oggi vedo che erano insanguinate. Dovevate aspettare così tanto per aprirci gli occhi?”.
Forse non occorreva aspettare che il fratello maggiore sovietico dettasse il “contrordine compagni!” per capire che quelle pagine proprio immacolate non erano… ma tant’è, avendo finalmente aperto gli occhi, come si poteva pensare di fare (politicamente) finta di niente dopo?
Se c’è un soggetto con cui è inevitabile fare i conti, beh questo è la Storia.
Perfino Giorgio Napolitano, passato alle cronache (eviteri “alla storia”) come il leader dei miglioristi, una vita spesa a cercare di riformare un partito ingessato da Cossutta, Pajetta e Ingrao (che comunque non sono più in politica solo perché a una certa età si muore anche), non appena eletto Presidente della Repubblica si è visto recapitare una nota diplomatica dall’Ungheria (dove era previsto il suo primo viaggio ufficiale) a riguardo dei fatti del’56, perché a loro in 50 anni non risultava ancora una sua condanna dell’invasione sovietica.
Cosa dire di D’Alema, che dal 1975 al 1980 era segretario dei Giovani Comunisti, o dello sciocchezzario di “iCare” Veltroni in cui la commedia all’italiana di serie A, B e C sembra essere stata il suo unico interesse per vent’anni (quelli dal ‘68 all’88 casualmente).
C’è stata –e c’è tuttora purtroppo– nei leader, nelle élites e nelle leadership di sinistra l’idea che il rinnovamento della società sia la loro missione, il destino manifesto di un vero partito progressista, a patto però che non debba minimamente toccare loro stessi.
È una sindrome tipicamente italiana, che di solito si esprime col nepotismo classico del “lascio ma solo a mio figlio”, ma che ha raggiunto nel ex-partito comunista (il più forte e importante PCI occidentale, che raccoglieva un voto su tre e che ha avuto un ruolo decisivo nella storia italiana del dopoguerra, che sarebbe da ignoranti negare) un paradosso meraviglioso: le nostre idee, quelle attorno a cui abbiamo costruito la nostra personale chiesa, sono da rottamare (per usare un “renzismo”) ma noi, cioè quelli che proprio questa chiesa abbiamo edificato, difeso e idolatrato, noi andiamo benissimo lo stesso!
Le pagine sono insanguinate è vero, ma noi che le abbiamo sfogliate per cinquant’anni, abbiamo le mani immacolate…
E allora: basta che ci cambiamo nome et voilà… il gioco è fatto.
E così Occhetto fa la epocale “svolta della Bolognina” e poi si incazza perché i candidati del congresso non lo eleggono subito segretario della “nuova cosa”, forse come segnale forte di grande discontinuità col passato…
In vent’anni l’ex-PCI è diventato PDS, poi DS, poi PD (forse ora sparirà per esaurimento di sigle: gli resta PS, che sta per Partito Socialista o per Post Scriptum?), perdendo pezzi a destra e a sinistra (più a sinistra in verità) ma tenendosi stretta sempre la stessa nomenklatura! Forse era meglio mantenere lo stesso nome e cambiare i dirigenti.
Sicuramente sarebbe stato più serio.
C’è una frase famosa di Gorbaciov, rivolta ad Honecker (il dittatorucolo della Germania Est che faceva sparare nella schiena a chi cercava di scavalcare il Muro di Berlino) che –come molte frasi famose– forse non è mai stata pronunciata.
Ma resta efficace lo stesso: “chi arriva tardi, la Storia lo punisce”.
È quello che sta accadendo oggi alla super-riciclatissima nomenklatura PCI: è da vent’anni in ritardo sulla Storia e oggi il sig. Renzi sta loro semplicemente portando il conto.